
Bologna e la musica. Controcultura e underground.
Intervista realizzata da Antonio Cammisa ad Alberto Nerazzini
Ciao Antonio e grazie al Barezzi Festival per avermi coinvolto. Non so se sono la persona adatta per questa chiacchierata non essendo un esperto del settore ma solo un appassionato.
Lo scopo di questo approfondimento vuole essere un’analisi non strettamente tecnica. Mi interesserebbe analizzare gli aspetti sociologici che hanno favorito o sfavorito il nascere di realtà e contesti musicali a Bologna. In tal senso credo che tu per formazione possa essere la persona adatta a coglierne e illustrarci queste dinamiche. Innanzitutto tu in che periodo e per quanto hai calcato i “sottopalchi” bolognesi?
Beh questa è già una buona domanda. Io sono di origini modenesi e senza pensarla come Cioran, che voleva eliminare gli uomini già vecchi di 40 anni, dico che gli anni migliori sono quelli della gioventù e io li ho vissuti a Modena. Per un campanilismo tutto emiliano ho fatto di tutto per non andare a studiare a Bologna, quindi i sottopalchi bolognesi li calcavo da pendolare. L’Emilia è una terra strana e meravigliosa, è quella di Tondelli. L’irrequietezza della via Emilia era quella che ti faceva iniziare la serata a Modena, ti portava a Bologna di notte per un concerto e poi ti spingeva verso la Romagna a fare mattina. Bologna era una città con un alto potenziale attrattivo ovviamente, ma ci tengo a mettere in testa allla nostra chiacchierata che molti locali che hanno visto live epocali erano a Modena. Penso al Vienna.
Vero, c’era anche il Vox nel modenese?
Si, il Vox è uno dei pochi sopravvissuti. Se chiudo gli occhi, e l’ho fatto tra questa chiacchierata e la nostra prima telefonata, e devo pensare ai concerti che mi hanno segnato negli anni ’90 c’è il Vox. I Portishead ad esempio.
Jeff Buckley anche se non ricordo male?
No, Jeff Buckley non venne mai al Vox, suonò al Vidia e poi alla Festa dell’Unità di Correggio. Tra l’altro un aneddoto è che io ero amico di Jeff ma non voglio divagare.
Eh no, questa devi raccontarmela.
L’ho conosciuto nel ’94 a New York. Ero andato a fare il fotografo, ma come scappato di casa. Avevo già fatto il quarto anno di liceo lì. Nel ’94 esce Grace e quando lui fece una presentazione alla Tower Records sulla Broadway scappai dal lavoro e andai a sentirlo. Fece pochi brani e lì per una storia che non ti sto a raccontare ci mettemmo a parlare, ci siamo stati simpatici e mi invita al sui concerto della sera successiva. Dopo un po’ di tempo (ero già tornato in Italia, a Firenze dove studiavo) arriva una lettera di Jeff a casa dei miei in cui mi scrive che avrebbe suonato al Vidia e che si sarebbe preso qualche giorno per stare insieme. Lo portai Firenze, era provato dal tour e quindi tornammo a Modena e rimase qualche giorno. Mi chiese di accompagnarlo a Bologna perché ne aveva sentito parlare ed era curioso di visitarla. Ci andammo per un giro pomeridiano, andammo al Pratello. Era ancora il Pratello del post Radio Alice ma erano gli anni ’90 e c’erano già i punkabbestia.
Questa va messa a curriculum. Una gran fortuna
Insomma raccontai a Jeff di quella strada e di quelle esperienze. Della città.
Tu prima parlavi della via Emilia. Bologna è una città che per posizione geografica è mediana. Per longitudine tra l’Emilia profonda e la Romagna scanzonata e sorniona, per latitudine unisce il nord al sud. Qualcuno dice che Bologna sia una città che brilla più per luce riflessa catalizzando per le ragioni di cui sopra molte forze eterogenee.
Si sono d’accordo, di riflesso perché comunque è una città che deve molto alla sua università, al suo intreccio e incrocio sociali. Non voglio sminuire la vivacità culturale di Bologna ma è vero, deve molto a forze esterne. Va detto che è sempre stato un luogo aperto ad accogliere varie esperienze. Penso ad esempio alla seconda metà degli anni ’80, all’esperienza dell’Isola nel Kantiere. Un’esperienza unica e particolarissima che rendeva Bologna molto all’avanguardia anche rispetto a Roma o Milano.
Tralasciando l’epoca dei cantautori dei ’70 (penso a Dalla, Guccini ma soprattutto a Lolli) su cui si è parlato tanto e adesso non ci soffermiamo, credo che Bologna abbia avuto una linea di crescita culturale e propositiva ascendente fino all’inizio dei ’90, poi forse ha avuto una mutazione e un ristagno, magari anche fisiologico. Penso ad esempio alla scena musicale attuale. Oggi ha una propria identità?
Bologna ce l’ha avuta una identità con i cantautori ma soprattutto con L’Isola nel Kantiere. Io ho la fortuna di conoscere i ragazzi di quel mondo lì, di quell’esperienza lì. Devo dire che era una realtà vivacissima e molto interessante.
Quella è stata la culla dell’ hip-hop italiano. Isola Posse All Stars, Sangue Misto sono stati tra i primi gruppi in Italia nel genere.
Esatto, è stata una esperienza importantissima non solo per la città di Bologna. Io per gusti musicali preferivo altro ma quella Bologna era innegabilmente avanti anni luce.
Quel contesto è stato seminale per la nascita del rap italiano, delle posse che però producono i suoi frutti più tra Roma e Napoli. A Bologna è rimasta una storica parentesi.
Si se devo dire la mia, forse è meglio cosi. Non c’è stato un seguito né una grande scena duratura dell’ hip-hop a Bologna. Poi comunque io torno a dire che non ero molto affascinato da quel genere. Io ripercorrendo quegli anni e la roba che ascoltavo penso ai Kyuss ai Violent Femmes. Visti alla Festa Dell’ Unità. Di Modena e Correggio! Incredibile pensare a come il partito in quegli anni ha reso possibili concerti di questa portata. Anche Lou Reed.
Hai aperto un capitolo interessante. Il rapporto tra PCI, cultura e territorio. Tralasciando l’aspetto politico, è innegabile che il partito in quelle zone ha esercitato un’incredibile spinta culturale anche nel campo musicale. Il partito rendeva possibile concerti che oggi definiremmo di matrice alternative, una grande apertura intellettuale.
A parlare di queste robe divento nostalgico. Erano altri tempi, il partito dava spazio ai giovani. Cosa ne poteva sapere un funzionario di partito dei Violent Femmes. Però metteva a disposizione risorse per un pezzo di comunità. In quel caso di noi ragazzi dell’epoca. Poi purtroppo è cambiato tutto e oggi alle feste dell’Unità trovi i concessionari d’auto.
Non pensi che per certi aspetti questo potere ed egemonia culturale del PCI abbia ridotto la creatività e le iniziative individuali e collettive? Mi spiego meglio, in quegli anni chi pensava ad organizzare un evento magari si rivolgeva al partito per essere finanziato o anche solo supportato a livello logistico.
Ho capito benissimo come la pensi e in parte sono d’accordo con te. Sicuramente il partito era imponente ma devo dire che lasciava molto spazio ascoltando le proposte. Poi certo questo discorso è pienamente valido per i grandi concerti che diversamente non sarebbero stati sostenibili. C’era poi comunque una grande scenda underground.
Per aggravare la tua nostalgia penso che negli anni ’90 i grandi eventi bolognesi erano promossi e finanziati da MTV. Un impianto importato e “plasticoso”.
Certo totalmente importato e Bologna doveva essere la città dove impiantare quell’esperienza televisiva e commerciale. Poi è anche vero che rispetto ad altre città Bologna aveva creato tante cose come il Link, il Livello 57 e, passami il termine, tante bettole dove si facevano gran bei concerti.
Ecco gli anni ’90 sono stati un’epoca d’oro per la musica italiana. Penso alla Bologna dei Massimo Volume. Un decennio che faceva da raccordo alla Bologna punk degli anni ’80 e a quella impegnata dei movimenti che hanno portato al 2001.
Si, è stato forse l’ultimo colpo di coda di una città che oggi è un po’ assonnata. Impigrita. Oggi si moltiplicano pseudo-trattorie e mangiatoie di vario genere. Gli anni ’90 sono gli anni dei Pavement. Poi penso al discorso politico. Il Link ha gestito il suo spazio al meglio. In quegli anni c’era un’amministrazione di destra e forse questa è stata una spinta che ha incoraggiato e rinforzato i centri sociali e le esperienze dei collettivi.
Bologna però paradossalmente ha avuto uno strano impianto di centri sociali. Voglio dire che rispetto ai centri sociali romani, milanesi o napoletani il capoluogo emiliano ha visto il moltiplicarsi più quelle che difinirei T.A.Z. (zone autonome temporanee, per citare Hakim Bey). Forse c’era una minore velleità politica e una maggiore spinta ludico-libertaria.
Su questo non sono troppo d’accordo. Forse si c’erano spazi meno impegnati ma penso all’ XM24. Se penso al Link mi commuovo, facevano cultura, sembrava di non essere in Italia per le cose assurde che si vedevano e creavano. Laboratori interessantissimi. Ricordo il live dei Red Snapper, memorabile.
Una città comunque che è sempre stata ribelle e forse in alcune cose anche contraddittoria. Penso a quanto sia stata punk negli anni ’80. Purtroppo c’era anche tanta eroina ma fiorivano riviste alternative, hardcore. I Clash che suonano a Piazza Maggiore e gli autonomi che li contestano. Oggi cosa rimane di questa Bologna?
Oggi come ti ho detto prima è una città un po’ impigrita. Come tutte le città sta diventando una vetrina commerciale. Molti spazi di cui abbiamo parlato non esistono più, altri invece si sono rimodulati. Esistono ancora il TPO, il Link ed è importante averceli ancora anche se con una struttura diversa. Altre realtà tipo l’XM24 che non si sono adeguate sono state cancellate dalla mappa bolognese. Ecco se penso ad un turning Point per la città penso allo sgombero dell’XM24.
Alberto potremmo parlare ancora per ore, ti ringrazio per questa chiacchierata. Ci vediamo al Barezzi?
Ma grazie a te. Mi piacerebbe rivedere i dEUS e Sun Kil Moon tra tutti. Ci vediamo a Parma.
Alberto Nerazzini è giornalista investigativo, documentarista. Comincia da radio e carta stampata, poi tanta tv, soprattutto in Rai (Sciuscià, AnnoZero e Report), e dal 2024 firma e co-conduce con Corrado Formigli 100 minuti, programma di documentari di inchiesta su La7. Da sempre predilige i temi della criminalità organizzata, finanziaria e politica. Collabora con svariate testate italiane e straniere di inchiesta. Ha fondato la società Dersu che produce documentari e podcast ma anche investigazioni finanziarie e giornalistiche. È cofondatore e direttore di DIG, festival internazionale che dal 2015 celebra e supporta il giornalismo investigativo.
